Speciale Muskelrock 2019


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RECENSIONE: Buckcherry “Confessions”

Buckcherry “Confessions”

(Seven Eleven Music/EMI)


Per Chi Ascolta: hard rock in chiave moderna ma con salde radici alle origini.

Tornano sul mercato i Buckcherry, a tre anni di distanza da un album, “All Night Long” che, seppur riuscito, non aveva forse convinto del tutto. Anche perchè da un nome del genere ti aspetti sempre il meglio del meglio e stavolta sono tornati in in grande stile con un lavoro che li rilancia alla grande, un buon mix di buoni pezzi, forse un attimo più variegati degli ultimi lavori, con sfumature a tratti più patinate ma sicuramente nel complesso d’effetto. Sono lontani i tempi di “Lit Up” o “Crazy Bicth”, ma la band, pur raggiunta una certa fama, sfoggia tuttora una certa rabbia ed ispirazione che contribuiscono alla buona riuscita del prodotto, insieme ad una produzione perfetta ed un songwriting sempre più maturo. Certo abbiamo ancora di fronte una band che suona del fottuto rock’n’roll che viene dalla strada, se vogliamo oggigiorno in chiave abbastanza al passo con i tempi, ma sicuramente arrivata ad un disco più complesso dei precedenti. Il tutto ruota attorno ad un tema trainante, quello dei peccati capitali e la difficile vita vissuta in prima persona dal leader della band, Josh Todd, che stride forse con i toni più festaioli del predecessore, ma di certo non stiamo parlando di un cambio di rotta. Se poi l’apertura è affidata alle quasi scontate “Gluttony” e “Wrath” che non escono molto dal seminato riportandoci il classico, inconfondibile, suono dei Buckcherry, scopriamo immediatamente che sono sempre loro stessi. Ma c’è anche tanto altro in questo lavoro, dalle melodie di “Nothing Left But Tears”, al bel coro di “Seven Ways To Die”, ma anche alle malinconiche ballate come “The Truth” o “Dreamin’ Of You”, il lento ma energico incidere di “Sloth”, l'atmosfera darkeggiante di “Water”, per finire con la strana, per i californiani, “Pride”, parlata più che cantata, ma fumosa quanto basta. Insomma un lavoro che è capace anche di sorprendere oltre che di soddisfare i tanti fan di lunga data, magari alcuni li preferivano più sporchi e cattivi agli esordi, ma questo disco suona comunque genuino e personale quanto basta. Siamo all’inizio dell’anno ma si ritagliano un’ottima posizione nella corsa per il disco dell’anno!


 

Momento D'Estasi: La “strana” ma riuscita canzone parlata “Pride”

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