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Recensione: Delta Rae “Carry The Fire”

Delta Rae “Carry The Fire”

(Warner)


Per Chi Ascolta: folk rock americano con forti influenze southern, blues, gospel.

Da una terra che mi riporta alla mente case dal patio assolato, Bibbie, campi sconfinati di cotone, la guerra civile, dame da “Via col Vento”, arrivano i Delta Rae. Nati come quartetto per lo più concentrato sulla voce dei tre fratelli Holljes (Eric, Ian e Brittany) e dell'amica Elizabeth, hanno aggiunto col tempo basso e batteria rendendo più evidente il lato rock del gruppo. Una serie di coincidenze li ha portati all'attenzione di Stein, patron della major americana Sire e già scopritore di Madonna, e da allora la loro ascesa non si è ancora fermata. Il talento non manca e lo ha notato persino una come me, che sinceramente aveva sempre evitato questo genere musicale, bollandolo come noioso. Un paio di ascolti mi son bastati per diventare dipendente da “Carry The Fire”, il tempo di finire avvolta dalla miriade di influenze che hanno reso appetibile anche ad un'europea, un tipo di musica così tanto legato alla terra d'origine. L'album è aperto da “Holding on to Good”, un brano delicato guidato dalla chitarra acustica e dal piano e dalla voce di Brittany, mentre gli altri intrecciano melodie vocali ai cori. La caratteristica dei Delta Rae è di non avere un solo vocalist, bensì quattro che si alternano alle lead vocals dei vari pezzi, mentre i tre restanti si cimentano alle backing vocals. Brittany sa essere sia soffice e vellutata che molto aggressiva, come dimostrerà in seguito. “Is There Anyone Out There” ha un intro corale per lasciare poi spazio alla voce calda e vellutata di Ian. Come la precedente mescola momenti più epici ad altri più sussurrati anche se è poco più up-tempo, specie nel ritornello e nel bridge anthemico. Su “Morning Comes” è il turno del tastierista Eric alla voce. La canzone segue uno stile a cappella e ha un accompagnamento sonoro creato dal battito delle mani degli altri. Poco dopo la parte strumentale diventa più corposa, ma il rimando al gospel resta evidente. Così come lo è nella loro hit, il primo singolo “Bottom of The River”. Il pezzo ha un che di dark, di inquietante, mistico e il video esalta alla perfezione tutte queste qualità. Le influenze del Southern Gothic sono chiare e apporta al pezzo quel retrogusto oscuro che non può che piacere a una vecchia gothic metaller quale io ero. La voce liquida di Elizabeth ci accompagna in “If I Loved You”, una delle mie preferite. Bella ballata acustica infusa di un certo rimpianto e malinconia, è resa perfettamente con la sua espressività. Ho letto un paragone che calza benissimo a Liz: la sua voce è come un “buon whiskey”. “Country House” è ancora dominio di Ian e inizia lenta per esplodere sul finale in un climax vocale da brividi. Perchè sono proprio le armonie vocali il punto forte dei Delta Rae, raramente mi era capitato di trovare quattro voci così belle tutte insieme e così ben amalgamate. Dei fiati aprono “Surrounded”, a cui seguono la voce e la tastiera di Eric e nel ritornello, Liz e Brittany lo seguono tra chitarre e batteria che sottolineano la vena rock che comunque è sottesa a tutto il cd. Ian canta un inno alla gioia in “Dance in The Graveyards” , mentre l'esatto contrario fa Brittany in “Fire”. Si tratta dell'highlight dell'album per me, la più rock di certo, rabbiosa e energica. La prova vocale è magistrale, roca e urlata, ma elegante allo stesso tempo. Live è travolgente e non mi spiacerebbe poterlo provare di persona un giorno. “Unlike Any Other” e “Forgive The Children We Once Were” sono due pezzi lenti, delicati che forse non si apprezzano a pieno uno di seguito all'altro e in effetti mi ci son voluti più ascolti per esserne catturata. In chiusura “Hey, Hey, Hey”, la traccia che è loro valsa il contratto discografico, cantata dalle quattro voci all'unisono e alternandosi uno all'altro. Perfetta sintesi del loro stile e di questo piccolo gioiello titolato “Carry The Fire”.


 

Momento D'Estasi: “Fire” è un concentrato di energia.

Colpo Di Sonno: non pervenuto.