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Recensione: Dokken "Broken Bones"

Dokken "Broken Bones"

(Frontiers)

Per Chi Ascolta: Dokken, Dokken e ...Dokken!!

 

Milano 27/03/1986

Come festeggiare degnamente il proprio diciottesimo compleanno?? Con il primissimo concerto METAL della propria vita, un esordio a 450km da casa, ovviamente!! A prender pedate dagli Accept del Colonnello Udo ma soprattutto a rimanere catturati dai riffoni indiavolati di George Lynch, dai numeri di quel pazzo di Mick Brown ma soprattutto a rimanere letteralmente incantati, a bocca aperta, davanti a quell'uomo con gli occhiali da sole: lui, uno dei migliori cantanti di tutti i tempi, il grandissimo DON DOKKEN!

Milano 08/10/2007

I primi amori non si scordano mai. Per cui non appena i Dokken si muovono all'interno del suolo italico è ovvia la mia presenza. Grazie ad uno stratagemma, m’infiltro fin dentro i camerini, dove conosco un personaggio sull'orlo di una crisi di nervi, uno straccio d'uomo...Il concerto dura poco più di venti minuti, Don Dokken non ce la fa più, non regge più lo stage, le canzoni le cantano solo i presenti all'Alcatraz... Quasi parallelamente alle "disgrazie" del suo fraterno amico Jack Russell anche per Don sembra esser giunta la “fine”. Per fortuna da Redondo Beach vari blog e messaggi nei social network ci parlano di periodi passati in clinica, per un doppio aiutino: all'ugola e al suo "disintossicamento". Ancor più fortunatamente non assistiamo al triste teatrino dei Great White (dove esistono due band con lo stesso nome...) poichè i Dokken mantengono quasi intatta da un decennio la loro formazione e, con questo album, dimostrano una volta per tutte di esser assolutamente vivi e vegeti!! Uscendo un po’ con le ossa rotte, ma con dignità, da quei tristi anni post-grunge e da quel perenne tentativo di riportare il monicker DOKKEN (indiscutibilmente il più bel nome per una band rock!) in auge, come ai bei vecchi tempi. Tentativi andati quasi falliti con le sonorità sperimentali ed indurite in platters del nuovo decennio quali "Hell to Pay", giusto per citarne qualcuno. Sebbene qualche bagliore di luce e di miglioria si era già notato nel più recente "Lightning Strikes Again" (2008). Con "Broken Bones" si ritorna indietro nel tempo, tralasciando una volta per tutte la ricerca di modernizzare il sound Dokken, seppur a discapito dell’originalità. Cosa che ad un vecchio fan, come il sottoscritto, interessa ben relativamente, considerata la gran voglia di riassaporare le vecchie armonie, i coretti ruffiani, le atmosfere ovattate e la voce tutta cuore, ugola e "naso" del vecchio Don Dokken... Ecco che allora sorge spontanea una domanda. A chi potrà giovare un disco come questo? Ai fans di vecchia data certo non dispiaceranno le schitarrate di pezzi quali "Empire" e "Fade Away" o l’energia e la passione delle semi-ballad "Today" "For The Last Time". Anche se a dir la verità traspare in sottofondo, una certa "sofferenza" del vocalist. Don sembra, in qualche episodio, affaticato, con poca carica e scarsa potenza (gli acuti di un tempo sono un triste ricordo). Per i nuovi fans questo potrebbe esser un buon viatico per far scoprire appieno la band, ben inteso, una delle più prestigiose e famose di questo genere, e portarli ad ascoltare album come “Tooth And Nail”, “Under Lock And Key” o “Back For The Attack” che han scritto pagine importanti nella storia dell'hard rock americano, dell'hair metal, per capirci, di quel genere fatato che spopolava negli Ottanta. Il vecchio hard rock ricolmo di melodie ci assale subito, sin dalle prime note dell'opener "Empire" con il classico mid-tempo di "Wild" Mick Brown e le schitarrate d'altri tempi (à la "Burning Like a Flame") di un eccellente Jon Levin, in quella scomoda posizione che aveva già visto i vari Reb Beach, il nostro Alex De Rosso e John Norum. Difficile, quasi impossibile, emulare un mostro sacro come George Lynch ma questo disco è pieno di riff massicci e di piacevolissimi assoli! Pregevole "lavoro" che si fa apprezzare anche nell'omonima "Broken Bones", altro viaggio nel passato, con le loro emozionanti atmosfere ed i coretti (grand’aiuto per il vocalist!) ed un refrain da impazzire. Uno "schema", una formula vincente che saranno un po' il leitmotiv dell'intero album. Ancor più catchy il ritornello in "Best of Me" altro episodio assolutamente positivo. Non altrettanto allo stesso livello le successive "Blind" e soprattutto una "Waterfall" troppo cadenzata, salvata solo in parte da una sorprendente ed elaborata (i Dokken si danno al Prog?) parte strumentale. Il livello si rialza decisamente con "Victim Of The Crime" sempre piacevole nonostante il piede sia sempre ben staccato dall'acceleratore. Decisamente più meritevole "Burning Tears" che con quegli arpeggi e quei riff cari al vecchio Lynch, mi fan ricordare il motivo per cui ho sempre amato i Dokken! C'è poi lo spazio per le classiche semi-ballad con "Today" dove, per fortuna, una "fastidiosa" base campionata lascia ben presto lo spazio ad uno arpeggio acustico struggente quanto "PureDokkenMarked" con un sublime Don Dokken ai livelli più alti dell'album. Operazione Vintage ben riuscita anche nella successiva "For The Last Time" che concorre per la palma della migliore con il suo ritornello che ti entra in testa e non ti lascia più ed un Jon Levin in stato di grazia. Mentre non mi è sembrata degna di nota "Tonight" (certo che dopo "Today" un bel "Tonight"...caro Don un pizzico di fantasia in più??) la song più energica dell'album che precede quella "Fade Away" entrambe caratterizzate da un gran lavoro di chitarre. Anche se resta qualche dubbio sulla "salute" di Don (riuscirà mai a riproporle dal vivo?) e la sua band, dopo aver ascoltato questo loro undicesimo album non posso che rallegrarmi : Bentornati Dokken!!


 

Momento D'Estasi: la ballad Today. Burning Tears, For The Last Time e Best Of Me : ritornelli ruffiani, melodie e riff massicci: i Dokken erano famosi per questo!

Pelo Nell'Uovo: Blind con il freno a mano un po’ tirato.