Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


Intervista con i White Skull

Recensioni: White Skull

"Will of the Strong"


Intervista con i Thomas Hand Chaste

Recensioni: Where The Sun Comes Down

"Welcome"

Recensioni: Pandora

"Ten Years Like in a Magic Dream"

Recensioni: Black Star Riders

"Heavy Fire"

Recensioni: Kreator

"Gods Of Violence"

Recensioni: Danko Jones

“Wild Cat”


Intervista con i Saxon

Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea

"Faces With No Traces"

Recensioni: Ted Poley

"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Recensione: Sonata Arctica "Pariah's Child"

Sonata Arctica "Pariah's Child"

(Nuclear Blast)

Per Chi Ascolta: melodic power metal

Il nuovo album dei Sonata Arctica,l'ottavo per la precisione,si presta a differenti interpretazioni e non potrà che suscitare pareri contrastanti,soprattutto nell'ampia cerchia dei fans del gruppo finlandese.L'indirizzo orchestrale e incline al progressive metal dei precedenti "The Days of Grays" e "Stones Grow Her Name" viene infatti quasi completamente stravolto e ribaltato nella direzione di una maggiore melodicità e immediatezza.La sensazione di trovarsi di fronte ad un ritorno palese alle sonorità di vecchia data affiora durante l'ascolto di una release che sembra appiattirsi nella mera riproposizione di formule già sentite.A scanso di fraintendimenti la formazione capitanata da Tony Kakko,seppur reduce dall'importante defezione dello storico bassista Marko Passikoski,gira a mille dal punto di vista tecnico-strumentale ma sembra attenersi alla stesura di un compito che,se formalmente ineccepibile ,risulta scevro di contenuti davvero innovativi a livello musicale e tematico. Significativo il recupero dell'immagine del lupo,la cui figura campeggia fiera sull'artwork di copertina.L'animale,solitario e abbandonato dal proprio branco,simboleggia la volontà di rialzarsi di fronte alle avversità della vita senza l'aiuto di chi ti sta intorno e rappresenta per trasposizione metaforica la capacità di riscatto dello stesso genere umano.Dall'iniziale "The Wolves Die Young",mid tempo caratterizzato da un refrain orecchiabile e da tastiere ariose,all'accelerata "Running Lights",melodica ma deficitaria quanto ad incisività vocale,si giunge a "Take On Breath",brano dal sapore particolare giocato su un giro ricorrente di pianoforte e che tuttavia dispensa ben pochi sussulti e sorprese all'ascoltatore.Il power melodico torna a far capolino nella spensierata "Cloud Factor",con tanto di cori festanti in stile folk,mentre qualcosa sembra muoversi nella successiva "Blood",pezzo energico per l'intreccio incalzante di chitarra e tastiere e per un ritornello che si stampa subito in mente.Sulla stessa falsariga si muove in parte la sinfonica "What Did You Do In The War, Dad?",che racchiude al suo interno soluzioni prog non disprezzabili ma ben lontane dal proporre qualcosa di realmente originale.Un arpeggio acustico introduce "Half A Marathon Man",forse la traccia più valida del lotto,lenta nel crescere e poi sempre più aggressiva, con suono di organo hammond e solismo chitarristico in primo piano."X Marks Spot" è senza mezzi termini un riempitivo,a tratti imbarazzante,forse da interpretare come divertissement fine a se stesso,strutturato come un'improvvisazione giocosa di voce e strumenti.La ballata "Love",piuttosto scontata, non riesce a decollare e si perde in uno streotipo di genere mentre la finale "Larger Than Life" tenta di assestare,ormai fuori tempo massimo,il classico colpo di coda tra aspirazioni operistiche e progressive.In definitiva "Pariah's Child" si presenta come un album dalla valenza interlocutoria,segnato dal tentativo di recuperare atmosfere passate ma che giunge forse a distanza troppo ravvicinata dal suo predecessore soffrendo irrimediabilmente di un certo appannamento creativo.


 

Cosa Funziona: la natura jammistica di "Half A Marathon Man",coinvolgente e ricca di feeling

Cosa Serve: recuperare al più presto un'ispirazione artistica che sembra essersi un poco smarrita