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Recensione: Black Star Riders “Heavy Fire”

Black Star Riders “Heavy Fire”

(Nuclear Blast Entertainment)

Per Chi Ascolta: Hard Rock

Due dati di fatto difficilmente contestabili: 1) Phil Lynott si è reincarnato in Ricky Warwick; 2) è il terzo grande album di fila che i BSR infilano, sicuramente il più completo. Lo stile ormai riconoscibilissimo al primo ascolto, la bontà del songwriting ispirato come non mai e la rinomata eccellenza strumentale ereditata dai Thin Lizzy, fanno sì che “Heavy Fire” sarà annoverato al top nelle classifiche di fine anno. Inoltre, la decisione coraggiosa di non puntare sul fattore revival che, troppo spesso, scade nel patetico, affidandosi ad una produzione moderna (eppur non modernista, griffata da Nick Raskulinecz), paga appieno rendendo, come per magia, questo disco classicamente attuale. Per intenderci: quello che i Darkness e compagnia replicante non sono mai riusciti a scrivere senza scadere nel dozzinale plagio o, peggio, nell’involontario ridicolo. Le intenzioni bellicose dei Black Star Riders sono esplicitate sin dalla titletrack, quattro minuti e mezzo di muscoli d’acciaio e pugni da alzare al cielo grazie al ritornello orecchiabile, ma non ruffiano, che intervalla break dominati dal tambureggiare di Jimmy DeGrasso. Altre band costruirebbero la propria carriera intorno ad un solo brano del genere, non i Nostri. Che replicano con “When The Nights Comes In”, dai superbi, sorprendenti sprazzi British soul ‘60s, che tanto sarebbero piaciuti a Lynott, incorniciati da brucianti chitarre lasciate andare senza freni. A tale doppietta fa seguito “Dancing With The Wrong Girl”, con Warwick esaltante nel ripercorrere le orme di Phil del periodo “Johnny The Fox”, quasi un divertissement se rapportato a “Who Rides The Tiger”, scatenato tour de force giocato su ritmi sincopati ed esecuzioni da manuale firmate Scott Gorham e Damon Johnson. A tale esplosione d’incontenibile energia si contrappone “Cold War Love”, senza tanti giri di parole, la più emozionante ballad ascoltata negli ultimi anni, retta magnificamente dall’interpretazione del passionale troubadour irlandese e da azzeccati contrappunti pianistici, capaci di smussare senza però appiattire un sound che rimane affilato. Il tema delle alternanze o, se preferite, dei toni chiaroscuri prosegue con “Testify Or Say Goodbye”, per quanto mi riguarda: il top tra le canzoni del lotto. Sfido chiunque a trovare altrove altrettanta perfezione tra linee vocali trascinanti (i cori sono quelli tipici di un futuro classico), brillantezza armonica (nonno Gorham fa assolutamente faville) e dinamismo contagioso (non muovere il piedino è praticamente impossibile). “Thinking About You Could Get Me Killed” è, invece, una puntata ai vecchi Almighty di Ricky, sorta di heavy swingato e sbarazzino (non nei testi tuttavia, alquanto amari) lustrato da stacchi che rievocano “You Could Be Mine” dei Guns ‘N Roses (l’andamento ritmico è pressoché il medesimo). Detto che “True Blue Kid” è il consueto barrage di sei corde duellanti sino alla spasimo per poi lasciare respiro all’ennesima interpretazione canora sopra le righe, “Ticket To Rise” riaccende gli echi gospel (i seducenti vocalizzi femminili che rimarcano il chorus) anticipando l’incandescente “Letting Go Of Me”, eseguita con rinomato mestiere. L’epilogo regalato da “Fade”, intrecciata su accordi inizialmente floydiani, arabeschi acustici pronti a trasformarsi in eruzioni elettriche e Warwick che intona come un novello Van Morrison convertito all’hard rock, rappresenta il degno sigillo di “Heavy Fire”. Che non stonerebbe affatto nella discografia più importante dei Thin Lizzy. I Black Star Riders, diversamente dalla maggior parti dei loro epigoni contemporanei, guardano fieramente al passato, ma lo fanno con una prospettiva futura: è giunta l’ora che gliene venga dato atto su larga scala, lo meritano come pochi altri.

Massima Allerta:Brani semplicemente bellissimi
Colpo Di Sonno:Scordatevelo