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Recensione: Epica “Requiem for The Indifferent”

Epica “Requiem for The Indifferent”

(Nuclear Blast/Audioglobe)


Per Chi Ascolta: Symphonic Metal con forti tinte prog ed estreme.

Prima di iniziare la vera e propria recensione di questo nuovo lavoro degli Epica, mi preme fare una breve nota introduttiva. Si tratta di un album monolitico, dall'approccio complicato, perciò potrebbe capitare che dopo il primissimo ascolto diate della pazza alla sottoscritta, perchè non ci ritroverete nulla di ciò che avete letto. In realtà io stessa sono rimasta assai perplessa in prima battuta, salvo concedere all'album altri sei ascolti e poi decidere di provare a parlarne anche a chi mi legge. “Requiem for The Indifferent” riprende il discorso iniziato da “Design Your Universe” e lo porta ad un livello superiore di complessità emotiva e compositiva. Come nell'osservare un dipinto ricco di dettagli, così nell'ascoltarlo, si coglie dapprima il quadro generale e solo successivamente ci si concentra sui particolari che affiorano man mano. L'album è aperto, come da tradizione, dall'intro orchestrale “Karma”, in cui percussioni, archi, fiati e delicati cori femminili che si intrecciano a profonde voci maschili, creano un'atmosfera sacra, solenne. Il climax finale stende il tappeto rosso per “Monopoly on Truth”. La canzone è già nota per essere stata scelta come protagonista del teaser che ha anticipato l'album. I blast-beat e i cori irrompono prepotenti prima dell'entrata in scena di Simone Simons e Mark Jansen. La giovane vocalist dimostra di essersi ulteriormente migliorata, scegliendo linee vocali moderne e diverse dal solito. Nei primi quattro minuti il pezzo segue una struttura abbastanza canonica, ma ci sorprende nella seconda metà. Breve interludio elettronico, ancora Simone sugli scudi che duetta con i cori e dà vita ad una performance da brivido quando è lasciata da sola in compagnia degli archi. L'assolo di chitarra di Isaac Delahaye porta a chiudere in bellezza la traccia. “Storm The Sorrow” è il primo singolo estratto. Rispetto al resto è molto più semplice da avvicinare. Suggestioni elettroniche guidano verso un ritornello orecchiabile e di facile presa. Più che la musica, è Simone a farla da padrona, ad arricchire il tutto con le sue linee vocali sinuose, ora più aggressive, ora dolci e delicate. La prima vera ballata è “Delirium”, introdotta da un suggestivo e intimo coro che intona una melodia cullante, perfetta per aprire alle note di piano e a una Simone più struggente che mai. La canzone è ricca di emozione, giocata su atmosfere malinconiche e notturne. Acquista pathos con l'entrata dell'orchestra e dell'assolo di chitarra, ma non mi sento di dire che raggiunga le vette di “Tides of Time” che resterà a lungo la ballata definitiva degli Epica. Fortissimo il contrasto con “Internal Warfare”, la successiva. Fiati imperiosi si uniscono alla batteria martellante e alle chitarre marziali, creando paesaggi sonori che mi hanno ricordato certe cose dei Dimmu Borgir. La melodia prende il sopravvento con l'entrata di Simone, ancora una volta protagonista di una prestazione maiuscola per lasciare il posto a Mark e ai cori in un momento che intreccia tastiere prettamente prog e chitarre death metal. Tra le canzoni che hanno acquisito molti punti con gli ascolti annovero senza dubbio la title-track. Aperta dalle classiche melodie orientali, tipiche degli Epica e da una Simone arabeggiante, è una traccia ricca di umori e cambi di tempo. Inizia come mid-tempo e diventa up-tempo nel chorus magnifico in cui i cori maschili e femminili si alternano in un botta e risposta da pelle d'oca. Accelerazione death-metal da urlo con growl incorporato, interludio prog, cori, break atmosferico... E' la summa di ciò che sono gli Epica. “Anima” è un breve interludio di piano che separa le due metà dell'album. Riporta la calma serafica prima di “Guilty Demeanor”. Secondo la mia modesta opinione, questo pezzo è un po' l'incompiuta di “Requiem for The Indifferent”. Troppo corto a paragone degli altri, finale affrettato, ma con pregi innegabili quali i cori imponenti e la sempre splendida Simone. “Deep Water Horizon”, ispirata al disastro ambientale nel Golfo del Messico, inizia come una ballata acustica, tra archi e chitarre che accompagnano la rossa vocalist, ma cresce nel chorus. Acquisisce un feeling epico, emozionante, da musical. Il bridge è dominato dall'orchestra a creare i momenti più symphonyc dell' opera intera. L'assolo che segue ha un sapore prog e stende la passerella ancora una volta per il metal estremo e il finale da colonna sonora. Di nuovo melodie orientali in “Stay The Course” che alterna fasi orecchiabili, ad altre decisamente più violente al limite del black metal. 100% prog le tastiere che introducono “Deter The Tyrant”, che prosegue in un dialogo tra Simone e cori. A circa metà si raggiunge il punto più alto in cui le due parti si uniscono per lasciare la scena al growl e riprenderla più imperiosa che mai. I sample in lingua araba ci riconducono alla tematica del testo che riguarda la primavera araba. Uno degli highlight dell'album è “Avalanche”. Cupa e minacciosa tra elettronica e note di tastiera si diluisce presto in quello che sembra una ballata acustica. Pian piano cresce, seguendo il climax vocale di Simone e il growl di Mark ed è nella seconda metà che verremo stupiti da Simone che finalmente dà sfogo al suo registro lirico in un bridge da brivido. Tra suggestioni orchestrali, violenza, chitarre dissonanti, lei emerge potente, ariosa ed espressiva. In chiusura “Serenade of Self Destruction”, dieci minuti di tutto quello che si è ascoltato in “Requiem for The Indifferent”. Cori imponenti, vocals suadenti, growl, melodie accattivanti e aperture sinfoniche imperiose mettono il punto ad un album che non è perfetto (come se esistesse la perfezione), ma ha il merito di racchiudere tante anime da assaporare gradualmente.


 

Momento D'Estasi: le spettacolari linee vocali nel bridge di “Avalanche”.

Colpo Di Sonno: mentre ascoltate un altro album.