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Recensione: Epica “The Holographic Principle”

Epica "The Holographic Principle"

(Nuclear Blast)


Per Chi Ascolta: Metal sinfonico con influenze estreme.

Per gli Epica ogni nuovo album rappresenta una sfida. Con sé stessi e con il pubblico. Perché dico ciò? La qualità della produzione della band è sempre talmente alta che riuscire a raggiungere o superare il livello del lavoro precedente è una vera impresa su cui noi fan stessi gettiamo delle ombre di scetticismo, dettate forse da una speranzosa prudenza. La band, dal canto suo, ben consapevole delle aspettative, ha sempre trovato la maniera di rinnovarsi senza perdere la propria identità, mantenendo standard elevati. "The Holographic Principle" non fa eccezione a queste regole. Viene dopo "The Quantum Enigma"che, in modo più o meno unanime, è ritenuto il loro album migliore con "Design Your Universe" e le attese dei supporter erano tangibili. La maggiore novità questa volta è l'uso di una vera orchestra con l'aggiunta di strumenti etnici. Non una novità in senso assoluto, altre band del genere hanno fatto abbondante uso di vere orchestre (vedasi Nightwish), ma gli Epica sino a ora si erano affidati ai campionamenti e la differenza è evidente. Il sound è diventato ancora più imponente, massiccio e a tratti la componente da colonna sonora è dominante. Potrei menzionare a tal proposito l'intro "Eidola". Lungo 3 minuti e mezzo, è una traccia che alterna momenti di vera esaltazione a altri di tranquillità con l'inserimento di voci bianche. Il resto dell'album offre una tale varietà che è difficile incasellare e soprattutto è impossibile da comprendere con uno o due ascolti. Mentre "The Quantum Enigma" aveva puntato su un'assimilabilità immediata, con questo nuovo lavoro si torna a tracce stratificate con molti livelli di lettura, lunghe e complesse. L'unica eccezione è il secondo singolo "Edge of the Blade", melodico e orecchiabile, che a mio parere è un pesce fuor d'acqua nel cd. Il vero trademark Epica è rappresentato da tracce come "Ascension-Dream State Armageddon", dove la violenza delle influenze death/black e il growl di Mark Jansen si mescolano all'orchestra e alla melodiosa voce di Simone Simons e ai cori. Proprio la performance di Simone merita una menzione a parte. La cantante negli anni ha saputo migliorarsi e offre di nuovo una prestazione maiuscola. La sua voce ha mille colori, passa in maniera assolutamente naturale da un registro all'altro, diventa allusiva, dolce, aggressiva, suadente, letteralmente recita ogni verso. Per una prova vi rimando a "Once Upon a Nightmare", la semi-ballad in cui Simone riesce a far emozionare come poche. Anni fa qualcuno disse che sarebbe stata perfetta come attrice di musical e mi sembra che l'affermazione non possa essere smentita. Le suggestioni etniche invece abbondano in "Dancing in A Hurricane" con l'uso di strumenti non convenzionali per il genere che ricreano atmosfere orientali/ folk che lasciano poi spazio alle sfuriate death accompagnate da growl e cori di sottofondo. Un mio personale highlight è "A Phantasmic Parade" di cui personalmente adoro le linee vocali, il bridge affilato e aggressivo, la potenza sonora. Uno dei pochi appunti che mi sento di fare è legato al mix non sempre perfetto. A tratti le voci sono indistinguibili e difficili da sentire, come accade nel primo singolo "Universal Death Squad". Piccolo problema se paragonato al resto in ogni caso. Le voci vibranti, il songwriting eccellente e vario, gli arrangiamenti interessanti ce lo fanno dimenticare e lasciano comunque la sensazione di aver di nuovo ascoltato una grande opera del genere.