Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


Intervista con i White Skull

Recensioni: White Skull

"Will of the Strong"


Intervista con i Thomas Hand Chaste

Recensioni: Where The Sun Comes Down

"Welcome"

Recensioni: Pandora

"Ten Years Like in a Magic Dream"

Recensioni: Black Star Riders

"Heavy Fire"

Recensioni: Kreator

"Gods Of Violence"

Recensioni: Danko Jones

“Wild Cat”


Intervista con i Saxon

Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea

"Faces With No Traces"

Recensioni: Ted Poley

"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Recensione: PRIVATE LINE "Dead Decade”

Private Line "Dead Decade"

(Bad Habits Records / Playground Music)


Per Chi Ascolta: Sleaze hard rock scandinavo, con sfumature molto moderne.

Sembrano oramai lontanissimi i tempi del debut “21st Century Pirates” e del seguito, meno fortunato ma comunque in qualche modo interessante, “Evel Knievel Factor”. Dischi che in ogni modo avevano lanciato i Private Line, che ai tempi (parliamo di soli 5-7 anni fa!) parevano quantomeno in rampa di lancio, freschi e frizzanti al punto giusto, ed energici dal vivo, spesso e volentieri in giro anche dalle nostre parti, seppur spesso davanti a pochi intimi. Molti oramai li davano per scomparsi nel nulla, altri si erano insospettiti in seguito all’apparizione al Pegorock del Giugno 2010: ora eccoli di nuovo in pista con un nuovo album, “Dead Decade” e forte era il timore di un bel fiasco dopo così tanto tempo. Nel frattempo, nonostante tutto, i pirati finnici sono rimasti tutti e cinque sulla stessa nave e pare abbiano abbracciato cause ben più nobili rispetto agli esordi (vedi Greenpeace, a cui è dedicato il video del primo singolo estratto). Parliamo comunque di un lavoro che fin dal primo ascolto è in fondo piacevole, pur se molte cose sono giocoforza cambiate, così come evidentemente anche le persone che hanno scritto questo disco sono maturate. Così se dal loro sound manca buona parte della genuina voglia di spaccare il mondo iniziale, non si va troppo oltre, coerentemente a se stessi, a ciò che si era già sentito nei due precedenti dischi, pur rimanendo nella stessa scia del secondo uscito che alcuni avevano già mal digerito. Non manca qualche buon pezzo, a cominciare dalla ruvida opener “Deathbedtime Stories”, proseguendo per i bei cori della title track (pure se si sfonda nel finale in un momento alla “We Are The World”….) o di "Live, Learn And Grow Apart", continuando su momenti diretti e vibranti come su “Black Swan” o “Heroes”, alternandoli a momenti meno consueti (vedi la atmosfere cupe di “Ghost Dance”), con alcuni, infine, più anonimi. Nel complesso non si può parlare di un fallimento, ma di un lavoro piacevole. Ecco manca quel tocco in più che aveva fatto scattare la molla a chi li aveva apprezzati nei primi momenti, ma se li conoscete dagli esordi, non ve li lascerete scappare. Di certo è un piacere rivederli in pista, certo, più maturi e meno frizzanti ma comunque arrivati ad un disco maturo, prodotto bene e fedeli comunque alla propria linea, vedremo se stavolta sapranno rimanere in circolazione ben più a lungo!


 

Momento D'Estasi: Qualche passaggio più ruvido e old-style come su “Black Swan”

Pelo Nell'Uovo: Manca qualcosa a questo disco, la freschezza degli esordi...