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Recensione: Sabaton "The Last Stand"

Sabaton "The Last Stand"

(Nuclear Blast)

Per Chi Ascolta: metal classico con spruzzatina di sinfonico, Battle Beast, Powerwolf, Nightwish

Chi avrebbe mai detto che i Sabaton sarebbero diventati il gruppo del nuovo millennio, capace di raggiungere un livello di popolarità superiore a quello di tanti gruppi storici? Eppure è così, e le vette in hit parade raggiunte dal loro ultimo album ne sono la prova. “The Last Stand” possiamo considerarlo il disco della consacrazione per gli svedesi di Falun, quello che racchiude quanto fatto in carriera e si apre a nuovi orizzonti. Personalmente i loro lavori non mi hanno mai esaltato, anche se bisogna riconoscere che i loro concerti sono divertenti e Brodén e compagni sanno come coinvolgere il pubblico. E proprio dalla voglia di far cantare a squarciagola nascono quei ritornelli che fanno la loro fortuna. Se al primo ascolto può anche scappare un sorrisino di scherno, al terzo-quarto non si può che abbandonarsi alle varie “Sparta”, “The Lost Battalion”, “Last Dying Breath”. Menzione particolare per “Blood Of Bannockburn”, con tanto di cornamusa e hammond per evocare atmosfere scozzesi. Chi ama sonorità tradizionali troverà esagerato l'uso di tastiere pop, specialmente in brani come “Shiroyama” e “The Winged Hussars”, ma in fondo anche questo fa parte della formula vincente della band. Magari sarebbe stato utile qualche pezzo veloce in più, perchè a parte “Hill 3234” e “Rorke's Drift” siamo sempre sul mid tempo alla tedesca. Il disco dura una quarantina di minuti, dato che gli undici brani non sfondano quasi mai il tetto dei quattro minuti; tutto sommato il tempo giusto per abbandonarsi alle melodie e non pensare molto alla cruda semplicità delle canzoni.