Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


Intervista con i White Skull

Recensioni: White Skull

"Will of the Strong"


Intervista con i Thomas Hand Chaste

Recensioni: Where The Sun Comes Down

"Welcome"

Recensioni: Pandora

"Ten Years Like in a Magic Dream"

Recensioni: Black Star Riders

"Heavy Fire"

Recensioni: Kreator

"Gods Of Violence"

Recensioni: Danko Jones

“Wild Cat”


Intervista con i Saxon

Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea

"Faces With No Traces"

Recensioni: Ted Poley

"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Recensione: Testament "Brotherhood Of The Snake"

Testament "Brotherhood Of The Snake"

(Nuclear Blast)

Per Chi Ascolta: Thrash Metal

Basterebbe l'inaugurale, titanica titletrack a fugare qualsivoglia dubbio: i Testament anno 2016 continuano ad essere tra i più credibili capostipiti di un sound che loro stessi hanno forgiato. Età anagrafica, allori conquistati, cambiamenti di line-up: niente di tutto ciò sembra aver influito sui cinque di Oakland, che piazzano l'ennesima stoccata vincente di una carriera in cui i passi falsi sono stati invero pochi. L'aver abbracciato nuovamente Steve Di Giorgio, che assieme all'incredibile Gene Hoglan costituisce il miglior motore ritmico in circolazione, giova subito a "The Pale King", traccia rocciosa, vigorosa nella sua marzialità e suonata con rinomata classe. Per "Stronghold", mazzata che non avrebbe sfigurato su "The Gathering", prevedo sfracelli in concerto, vista l'irruenza ed il groove disumani, discorso simile potrebbe farsi per "Seven Seals", imperniata su parti di basso dominanti e ritornello urlato a più non posso da un cattivissimo Chuck Billy. Si resta su standard elevati con "Born In A Rut", thrash song da manuale, canonica nell'esecuzione e dal feeling assolutamente malvagio, mentre l'esplosione di violenza rappresentata da "Centuries Of Suffering" alza ulteriormente i ritmi per merito dell'incontenibile Hoglan. "Neptune's Spear", di contro, pare un'outtake poco ispirata proveniente dal periodo "The Ritual", prontamente subissata da "Black Jack", uno dei brani più facilmente memorizzabili e convincenti del lotto. Idem dicasi per "Canna Business" modellata sul riffing incessante di Eric Peterson e per "The Number Game", veemente finale nobilitato dall'ennesima prestazione strappa applausi fornita dal maestro Alex Skolnick. Non si collocherà accanto ai classici della band, ma "Brotherhood Of The Snake"si piazza immediatamente dopo: indistruttibili Testament.

Massima Allerta:Alta qualità delle canzoni e stile inimitabile
Colpo Di Sonno:Altrove, non qui